STUDIO LEGALE TRIBUTARIO

PROF. AVV. LORIS TOSI

NEWSLETTER N.08

27 January 2023

RITARDATO PAGAMENTO DELLE ACCISE: L’INDENNITÀ DI MORA SI CUMULA CON LA SANZIONE. SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZ. 5, 16 GIUGNO 2022, N. 19340.

Per la rilevanza dei principi espressi, si segnala la recentissima sentenza in oggetto, che si è pronunciata in merito alla legittimità del cumulo dell’indennità di mora ex art. 3, comma 4 del D.lgs. n. 504/1995 (T.U.A. – Testo Unico Accise) con la sanzione ex art. 13, comma 1 del D.lgs. n. 471/1997, per il caso di ritardato pagamento delle accise.
Nello specifico, la questione è stata oggetto di un mutamento di indirizzo nella giurisprudenza di legittimità, che, a partire dalla pronuncia n. 30034/2018, si è discostata dall’orientamento tradizionale, favorevole al predetto cumulo.

Invero, secondo l’indirizzo tradizionale, la suddetta indennità di mora avrebbe natura risarcitoria, sicché: “le due disposizioni normative si applicano cumulativamente, perché in relazione al medesimo oggetto esse assumono un contenuto diverso: la sanzione amministrativa è quella dell’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 e la misura risarcitoria dell’indennità di mora è quella dell’art. 3, commi 4 e 5 del d.lgs. n. 504 del 1997” (Cass. Civ. 23517/2008). L’imposizione del vincolo di pagare, pertanto, assumerebbe una diversa funzione per l’una e per l’altra misura, “afflittiva quella della sanzione e reintegrativa del patrimonio leso quella dell’indennità di mora” e tale diversità “giustifica la loro contemporanea applicazione” che non realizzerebbe alcun cumulo di sanzioni “ma soltanto due diverse pretese di pagamento in base a titoli diversi, tra loro pienamente compatibili per la loro diversità di struttura e funzione”.

L’orientamento espresso a partire dalla predetta pronuncia n. 30034/2018, invece, è nel senso della illegittimità del suddetto cumulo, in quanto vi sarebbe una duplicazione della sanzione: invero, la previsione di cui all’art. 3, comma 4 cit. avrebbe essa stessa natura sanzionatoria, non già risarcitoria, per cui, in base al principio di specialità, sarebbe prevalente rispetto alla previsione sanzionatoria ex art. 13 cit..

Con la recentissima sentenza in esame, tuttavia, la Suprema Corte torna a riaffermare la legittimità del cumulo in questione, ritenendo non condivisibile l’indirizzo emerso a partire dalla citata pronuncia del 2018. Ciò, sulla scorta delle considerazioni di seguito sintetizzate.
Anzitutto, prendendo le mosse da una lettura storico-sistematica della previsione di cui all’art. 3, comma 4 cit., la Corte evidenzia come l’art. 3, comma 4 cit. sia stato collocato nel Capo I (disposizioni generali) del Titolo I (disciplina delle accise) del T.U.A., concernente la regolamentazione dell’accertamento, della liquidazione e dei termini e modalità di pagamento delle accise, sicché emergerebbe la “chiara volontà del legislatore di configurare le conseguenze del tardivo pagamento delle accise in un contesto, quello generale relativo ai tempi di pagamento ed alle conseguenze nel caso di mancato rispetto, del tutto autonomo rispetto alla diversa disciplina sanzionatoria che, invece, trova specifica collocazione nel Capo IV (sanzioni) del Titolo I (disciplina delle accise)”.
Tale distinzione sistematica, secondo il Collegio, sarebbe confermata dai successivi interventi normativi compiuti dal legislatore, aventi a riferimento la stessa previsione di cui all’art. 3, comma 4, cit.

In tal senso, si collocherebbe l’intervento di cui all’art. 4-ter, comma 1, lett. a), d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225, che ha introdotto all’art. 3, cit., il comma 4bis, successivamente modificato dall’art. 162, comma 1, lett. a), b) e c),d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77. Tale previsione normativa conferisce la facoltà all’operatore di richiedere, a determinate condizioni, la dilazione nel pagamento del debito di imposta: in questo caso, ove sia stata autorizzata la rateizzazione del debito, sulle somme per le quali è stata autorizzata la rateizzazione sono dovuti gli interessi nella misura stabilita ai sensi dell’art. 1284 codice civile, maggiorata di due punti; mentre, in caso di mancato pagamento, anche di una sola rata, entro la scadenza fissata, l’operatore decade dalla rateizzazione ed è tenuto all’integrale pagamento degli importi residui, degli interessi e dell’indennità di mora di cui al comma 4, nonché della sanzione prevista per il ritardato pagamento delle accise.

Osserva sul punto la Corte: “È significativo, in questo ambito, il fatto che il legislatore ha espressamente previsto che la misura conseguente all’inosservanza dei tempi di pagamento non è relativa al solo integrale pagamento degli importi ancora dovuti, degli interessi e dell’indennità di mora di cui al precedente comma 4, ma ha riguardo anche al pagamento della sanzione prevista per il ritardato pagamento delle accise.
Due considerazioni devono quindi essere compiute.
In primo luogo, il legislatore … fa richiamo alla disciplina di cui al precedente comma 4, chiarendo, in tal modo, anche la portata della suddetta previsione, essendo sia il comma 4 che il comma 4bis diretti a regolare le conseguenze del mancato rispetto dei termini di pagamento: nel primo caso, secondo i tempi già fissati dal legislatore, nel secondo caso, in considerazione dei tempi conseguenti all’ottenuta autorizzazione della dilazione.
Sotto tale profilo, con la previsione contenuta nel comma 4bis, il legislatore chiaramente distingue, su di un piano normativo concettuale, tra gli interessi e l’indennità di mora, da un lato, e la sanzione prevista per il ritardato pagamento delle accise: e questo, proprio tenuto conto della formulazione letterale della previsione normativa in esame, atteso che, in modo chiaro, il legislatore ha previsto che l’operatore è obbligato al pagamento degli interessi e dell’indennità di mora «nonché della sanzione prevista per il ritardato pagamento delle accise»: dove l’utilizzo del termine «nonché» ha valenza aggiuntiva della sanzione rispetto all’indennità di mora”.

Per tale via, continua la Corte, “il legislatore ha inteso ribadire che, anche in caso di ottenimento della dilazione nel pagamento, ove non si provveda al pagamento, anche di una sola rata, interviene la decadenza dalla rateizzazione, con applicazione, anche in questo caso, del divieto di estrazione dal deposito fiscale di altri prodotti fino all’estinzione del debito di imposta, già contemplato nell’ambito della previsione di cui all’art. 3, comma 4, cit..
È dunque, a questa specifica sanzione, avente, più precisamente, funzione cautelativa a tutela e garanzia delle ragioni erariali, in quanto volta ad evitare che l’operatore possa ulteriormente aggravare la propria esposizione debitoria, limitando la possibilità di procedere all’estrazione dal deposito fiscale di altri prodotti fino a che non sia estinto il debito di imposta, che il legislatore ha inteso fare riferimento, dovendosi quindi escludere, da un punto di vista esegetico, che la nozione di sanzione utilizzata sia riferibile all’indennità di mora.
Inoltre, va considerato il fatto che li legislatore ha previsto che la sanzione del divieto di estrazione dal deposito fiscale viene meno “fino all’estinzione del debito di imposta”.
Concettualmente, quindi, il legislatore ha ritenuto di dovere ricomprendere nel “debito di imposta” non solo quanto dovuto quale imposta originaria, ma anche la successiva indennità di mora che, a seguito del tardivo pagamento, fa parte dell’obbligazione tributaria complessiva.
In altri termini, proprio con il suddetto inciso, il legislatore mostra di volere configurare l’indennità di mora quale onere accessorio rispetto all’obbligazione tributaria di pagamento dell’accisa, alla quale, dunque, si aggiunge, in caso di ritardo nel pagamento, quale completamento della complessiva pretesa erariale che, originariamente relativa al solo obbligo di pagamento dell’imposta, si accresce, in termini di accessorietà, con il pagamento degli interessi e dell’indennità di mora, posto che solo a seguito del pagamento anche di questi importi si perviene alla corretto ed integrale soddisfacimento della pretesa erariale.
In sostanza, con l’intervento normativo in esame emerge la chiara intenzione del legislatore di prevedere, in caso di ritardato pagamento delle accise, l’applicazione, in via cumulativa, sia degli interessi e dell’indennità di mora, con funzione ripristinatoria e risarcitoria, che della sanzione di cui all’art. 13, d.lgs. n. 471/1997, con funzione afflittiva”.

La Corte, poi, sempre avendo riguardo agli interventi legislativi successivi, ha evidenziato che l’art. 131 del d.l. n. 34/2020, ha disposto – in ragione dell’emergenza sanitaria covid-19 – una proroga della scadenza dei tempi di pagamento delle accise (riguardanti i prodotti energetici): in particolare, si è previsto che per i prodotti immessi in consumo nel mese di marzo 2020 sono da considerarsi tempestivi i pagamenti effettuati entro il giorno 25 del mese di maggio 2020 e, proprio in quanto si tratta di una sostanziale rimessione in termini, la norma prevede che, ove si provveda al pagamento secondo le nuove scadenze fissate, non si applicano le sanzioni e l’indennità di mora previste per il ritardato pagamento.
Sul punto, la Corte osserva: “la previsione normativa in esame, sebbene limitata, per scelta del legislatore, ai soli pagamenti delle accise riguardanti i prodotti energetici, può essere presa a base di riferimento per una compiuta attività interpretativa del contenuto dell’art. 3, comma 4, cit., posto che precisa, con valenza generale, quali siano le conseguenti misure da applicare in caso di ritardato pagamento delle accise…
Va, infatti, osservato che, in primo luogo, la previsione normativa in esame … letta in positivo, conferma che, ove non fosse stata riconosciuta la rimessione in termini, l’operatore sarebbe stato in ritardo nei pagamenti di cui all’art. 3, comma 4, cit., e, pertanto, avrebbe dovuto essere soggetto sia al pagamento dell’indennità di mora che alle sanzioni previste per il ritardato pagamento.
In tal modo, la volontà del legislatore è nel senso di distinguere la misura sanzionatoria prevista per il ritardato pagamento delle accise e l’indennità di mora …
In secondo luogo, va tenuto conto della specifica terminologia utilizzata dal legislatore, più in particolare la circostanza che è previsto che la conseguenza per il ritardato pagamento implica non solo il pagamento dell’indennità di mora, ma anche delle «sanzioni».
L’utilizzo del termine «sanzioni» al plurale è particolarmente significativo”.

Ed invero, come già rilevato, con l’intervento innovativo di cui all’art. 4bis, introdotto con il d.l. n. 193/2016, il legislatore, nel riconoscere la facoltà all’operatore di ottenere la rateizzazione del debito di imposta, ha previsto che, in caso di mancato pagamento anche di una sola rata, lo stesso decade dall’agevolazione ed è tenuto all’integrale pagamento degli importi residui, oltre agli interessi e all’indennità di mora di cui al comma 4, nonché della sanzione prevista per il ritardato pagamento delle accise. In quello specifico contesto, l’utilizzo del termine «sanzione» al singolare trova giustificazione in quanto la disposizione è inserita nell’ambito della previsione di cui all’art. 3 cit., limitata – come si è visto – a regolare e disciplinare i tempi di pagamento e le conseguenti misure da applicare in caso di tardivo pagamento: “è del tutto fuori contesto, dunque” – osserva la Corte – “ogni previsione avente la finalità di disciplinare le conseguenze di natura sanzionatoria. Sicché, in quel caso, il legislatore ha ritenuto di dovere fare riferimento all’unica ipotesi sanzionatoria contenuta nel contesto dell’art. 3, cioè, come osservato, alla misura, spiccatamente cautelativa, del divieto di estrazione dal deposito fiscale fino all’estinzione del debito di imposta”.
L’intervento normativo del 2020, invece, ha avuto una valenza più generale, in quanto l’art. 131 è stato adottato nell’ambito di un sistema complessivo di interventi finalizzati ad approntare misure di sostegno alla situazione finanziaria degli operatori obbligati al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici, sul gas naturale e sull’energia elettrica, tenuto conto della situazione di crisi generata dall’emergenza sanitaria. Sicché, il legislatore, in questo caso, ha inteso chiarire quali siano, complessivamente, le misure che trovano applicazione allorquando l’operatore non versi l’accisa entro i termini prorogati ex lege, stabilendo l’applicazione delle sanzioni e dell’indennità di mora previste per il ritardato pagamento.
In tale contesto, osserva la Corte, “l’utilizzo del termine «sanzioni» al plurale non può, in primo luogo, dirsi inclusivo dell’indennità di mora, proprio in quanto la stessa è già esplicitamente considerata, sicché viene ulteriormente ribadita la volontà del legislatore di una differenziazione concettuale tra indennità di mora e sanzioni.
In secondo luogo, l’utilizzo del termine «sanzioni» al plurale è comprensibile, esegeticamente, solo se” riferito sia alla già ricordata sanzione inibitoria del divieto di estrazione (di cui al sesto periodo dell’art. 3, comma 4, cit.) “che alla sanzione per ritardato pagamento di cui all’art. 13, d.lgs. n. 471/1997.
Se, invero, il legislatore avesse voluto fare riferimento solo alla misura del divieto di estrazione dal deposito fiscale, avrebbe utilizzato il termine al singolare, come già fatto con l’intervento di cui al d.l. n. 193/2016; invece, l’utilizzo del termine al plurale è indice del fatto che si sia voluto fare riferimento alle ulteriori sanzioni diverse da quella immediatamente configurata nell’art. 3,comma 4, e questo deve portare a ritenere che è stato chiaro al legislatore che, in caso di ritardato pagamento, intervengono altre sanzioni oltre a quella del divieto di estrazione dal deposito fiscale, e queste non possono non essere individuate nelle sanzioni di cui al d.lgs. 471/1997”, provvedimento, invero, che al Titolo II, stabilisce la disciplina generale delle “sanzioni in materia di riscossione”, prevedendo, cioè, le misure sanzionatorie da applicare per il caso di ritardato od omesso versamento dei tributi alle scadenze legali.

Riaffermata quindi – per tale via – la legittimità del cumulo in questione, la Corte si preoccupa altresì di confutare le due maggiori argomentazioni fondanti l’orientamento di rottura emerso a partire dalla pronuncia n. 30034/2018, ovverosia, da un lato, l’argomento consistente nella considerazione che il ristoro del danno da ritardo sarebbe assicurato dalla sola applicazione degli interessi di mora, sicché l’indennità di mora non potrebbe parimenti svolgere tale funzione, assumendo, conseguentemente, natura sanzionatoria; dall’altro lato, l’argomento secondo cui l’applicazione cumulativa dell’indennità di mora ex art. 3, comma 4 cit. e della sanzione ex art. 13 cit. si manifesterebbe in termini di violazione del principio di uguaglianza e proporzionalità.
In particolare, sotto il primo profilo, la Corte osserva come l’art. 3, comma 4 cit. – nel disporre che, in caso di ritardo nel pagamento delle accise, sono dovuti «gli interessi in misura pari al tasso stabilito per il pagamento differito di diritti doganali» e non già gli interessi previsti dall’art. 1284 codice civile – rinvia al meccanismo di autonoma definizione previsto dall’art. 79 TULD, mediante il richiamo al saggio stabilito semestralmente dal Ministero delle Finanze sulla base del rendimento netto dei BOT a tre mesi.
Nello specifico, l’art. 79 cit. consente all’operatore di richiedere l’agevolazione del differimento del pagamento dei diritti doganali mediante versamento, oltre della somma dovuta a titolo di diritti doganali, di un surplus, che costituisce quindi il controvalore del beneficio: in sostanza, osserva la Corte, “oltre al pagamento dei diritti doganali, l’operatore deve altresì corrispondere un importo non configurabile in termini di misura riparatoria, posto che, in questo caso, l’operatore ha legittimamente pagato oltre i termini originari in quanto specificamente autorizzato”.
Si tratta, in realtà – così afferma la Corte – “di un «costo» che è tenuto a corrispondere per essersi legittimamente avvalso dell’agevolazione; ciò spiega la ragione per cui lo stesso è determinato in misura minima, poiché consegue ad un legittimo esercizio di una facoltà riconosciuta dal legislatore.
Significativo, sotto tale profilo, al fine di chiarire ulteriormente la natura di mero «costo» per l’agevolazione ricevuta e non di misura riparatoria, è il confronto con la previsione contenuta nell’art. 86, primo comma, TULD, che, invece, regola l’ipotesi in cui l’operatore, senza aver richiesto alcun differimento, paghi in ritardo i diritti doganali.
In particolare, il suddetto articolo prevede: «Interessi per il ritardato pagamento. Per il ritardato pagamento dei diritti doganali e di tutti gli altri tributi che si riscuotono in dogana si applica un interesse pari al tasso stabilito per il pagamento differito dei diritti doganali, di cui all’articolo 79, maggiorato di quattro punti».
La prospettiva di fondo seguita in tal caso dal legislatore è quella per cui, in caso di ritardo nel pagamento dei diritti doganali, l’operatore finisce con il fruire, indebitamente, di un differimento nel pagamento, sebbene non lo avesse chiesto o non gli fosse stato concesso: ed è per tale ragione, quindi, che lo stesso è tenuto al pagamento, in primo luogo, di quello che, come detto, sarebbe stato il «costo» dell’agevolazione che avrebbe dovuto versare ove avesse regolarmente ricevuta l’autorizzazione, ma a questo si aggiunge un ulteriore importo consistente nella maggiorazione di quattro punti percentuali.
Ma, proprio in ragione del fatto che l’operatore non ha ricevuto alcuna autorizzazione per provvedere ad un pagamento differito, quel «costo», che comunque è tenuto a corrispondere, non può assumere la funzione di misura risarcitoria per il danno da ritardo nel pagamento: ed infatti, il legislatore prevede che lo stesso debba essere maggiorato di quattro punti, posto che solo in tal modo può dirsi interamente reintegrato il danno da ritardato pagamento.

Tale conclusione trova conferma in quanto previsto nel primo periodo del terzo comma dell’art. 86 TULD, dove si separa nettamente il profilo sanzionatorio (che può anche non essere dovuto o può trovare altre composizioni) da quello della corresponsione dell’«interesse», la cui doverosità trova il suo fondamento proprio nell’aver fruito di una agevolazione senza averne pagato il «costo».
Il meccanismo sopra delineato per la determinazione degli interessi dovuti in caso di ritardato pagamento per i diritti doganali, in una prospettiva di interpretazione di sistema, risulta quindi sostanzialmente sovrapponibile a quello previsto dal TUA con riguardo all’indennità di mora”.
In tal senso – continua la Corte – “con il pagamento degli interessi, …, in caso di ritardato versamento delle accise, l’operatore corrisponde un importo per il fatto che si è avvalso di un differimento non consentito e non previsto, quindi è tenuto a corrispondere quello che, di per sé, sarebbe il costo di una agevolazione indebita, incrementato di un ulteriore tasso.

In termini ancora più incisivi, può ritenersi che l’indennità di mora costituisce uno dei due elementi (il più rilevante) che integrano, in termini congiunti, il risarcimento del danno per il ritardo, poiché l’altro è dato dall’interesse per il pagamento differito dei diritti doganali che, di per sé, è il «costo» o il «corrispettivo» (di contenuto economico minimo, come si è visto) che sarebbe stato dovuto per l’eventuale differimento ove fosse stato autorizzato”.
Sotto tale profilo, conclude la Corte – “scindere l’apprezzamento tra «interessi» e indennità di mora, attribuendo a questa natura sanzionatoria, comporterebbe, in senso stretto, che l’unico ristoro in chiave risarcitoria per il ritardo sarebbe costituito da questo (minimo) «costo», che, come visto, non può assumere le caratteristiche proprie di una misura idonea all’integrale riparazione del danno da ritardo”.

Infine, quanto all’argomento concernente la violazione del principio di uguaglianza e di proporzionalità, nella ridetta pronuncia del 2018 è stato posto in evidenza come, mentre per le altre imposte, il contribuente che versi in ritardo è tenuto al pagamento degli interessi di mora ex art. 30 d.P.R. n. 602/1973, oltre che della sanzione (pari al trenta per cento) ex art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, nel caso di tardivo pagamento delle accise, l’operatore sarebbe tenuto al pagamento sia degli interessi che dell’indennità di mora (ex art. 3, comma 4, cit.) nonché della sanzione ex art.13, cit..
Sul punto, osserva la Corte, “la considerazione espressa dalla suddetta pronuncia si fonda, sostanzialmente, sul presupposto che la previsione di cui all’art. 3, comma 4 cit., già contempli, in sé, la misura riparatoria del danno da ritardo, consistente nell’obbligo di pagamento degli interessi di mora.
Si è, tuttavia, posto in evidenza come tale impostazione di fondo non possa essere seguita, poiché … gli interessi di mora, parametrati, quanto alla loro concreta determinazione, agli interessi dovuti per il pagamento differito dei diritti doganali, costituiscono solo il «costo» minimo dovuto per l’illegittima utilizzazione del pagamento differito, sicché non è idoneo, di per sé, a colmare l’intero danno da ritardato pagamento, che solo viene assicurato, nell’ottica del legislatore, con il versamento anche dell’indennità di mora, la quale, pertanto, assume natura risarcitoria, non sanzionatoria”.
Da questo punto di vista – osserva la Corte – “quel che, in ultima analisi, l’operatore è tenuto a corrispondere, in caso di tardivo versamento delle accise, consiste, oltre che nel versamento del suddetto «costo» minimo, anche dell’indennità di mora, pari al sei per cento, riducibile al due per cento se il pagamento avviene entro cinque giorni dalla scadenza, oltre che della sanzione di cui all’art. 13, cit., pari al trenta per cento dell’importo non versato.
La suddetta misura, in realtà, non risulta porre l’operatore tenuto al pagamento delle accise in condizione di maggiore e irragionevole sfavore rispetto ai contribuenti che non corrispondano le altre imposte nei termini previsti: in quest’ultimo caso, invero, questi sono tenuto al pagamento degli interessi di mora, di cui all’art. 30, cit., attualmente fissato nella misura del 2,68 per cento dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 23 maggio 2019, nonché della sanzione di cui all’art. 13, cit..
L’opzione interpretativa della natura risarcitoria dell’indennità di mora comporta che, in entrambi i casi, sia l’operatore che versi in ritardo le accise che il contribuente che ritardi parimenti il pagamento siano sottoposti alla medesima sanzione di cui all’art. 13 cit.; l’elemento differenziale ha riguardo alla determinazione della misura del danno da risarcire.
Questa misura, in realtà, è sostanzialmente analoga nel caso in cui l’operatore versi entro cinque giorni, essendo tenuto al pagamento degli interessi di mora, pari allo 0,165 per cento, oltre all’indennità di mora pari al due per cento.
Una possibile diversificazione potrebbe sussistere nel caso di mancato pagamento oltre i cinque giorni, posto che, in tal caso, l’indennità di mora è pari al sei per cento, dunque superiore alla misura del 2,68 per cento che è tenuto a corrispondere il contribuente che versi in ritardo le altre imposte.
Ma questa diversificazione, tuttavia, non risulta tale da comportare una violazione del principio di uguaglianza e di proporzionalità, proprio in quanto la maggiore misura dell’indennità di mora, pari al sei per cento, trova ragionevole giustificazione nella protrazione del ritardo oltre l’ulteriore termine di cinque giorni, il che, nella scelta legislativa, si pone in termini di una valutazione del maggiore danno che l’operatore cagiona all’interesse erariale”.

In definitiva, quindi, con la recentissima pronuncia in esame, la Corte ha con forza riaffermato il tradizionale orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in punto di cumulabilità dell’indennità di mora ex art. 3, comma 4 cit. e della sanzione ex art. 13 cit., segnando una rottura netta con l’arresto giurisprudenziale venutosi a formare a seguito della ridetta pronuncia del 2018.
Peraltro, è opportuno altresì osservare che, proprio a seguito dell’arresto giurisprudenziale del 2018, è insorto un cospicuo contenzioso tributario in merito alla suddetta questione del cumulo, sicché sarà interessante verificare l’impatto della pronuncia in esame sulle numerose controversie ancora pendenti.

Lo Studio è a disposizione per ogni chiarimento.
Prof. Avv. Loris Tosi (loristosi@studiotosi.com)