NewsASSICURAZIONI SULLA VITA DEGLI “UOMINI CHIAVE” DELLE SOCIETÀ. DEDUCIBILITÀ DEI PREMI ASSICURATIVI ALLA LUCE DELLA RECENTE GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

14/10/2020

In ogni realtà aziendale sono presenti delle figure che possono essere definite “difficilmente sostituibili”, in relazione alla funzione strategica svolta nell’ambito dell’azienda stessa. Questi sono gli “uomini chiave” (“key men”). Si tratta di figure che, per le proprie competenze e capacità, ricoprono un ruolo di grande rilievo nell’azienda. È fatto notorio che l’eventuale fuoriuscita degli “uomini chiave” rappresenta un danno economico certo per l’azienda. Se, poi, la causa è improvvisa, come nell’ipotesi di decesso, l’azienda è maggiormente vulnerabile.

In un contesto di valutazione e prevenzione del rischio, le polizze assicurative “key men” rappresentano una particolare tipologia di copertura assicurativa cui ricorrono i soggetti societari per assicurare “l’uomo chiave” – generalmente coincidente con il proprio amministratore (o altre figure chiave aziendali) – dal pericolo di una sua prematura scomparsa, in modo tale da garantirsi un’adeguata copertura economica dal rischio di dover fronteggiare, improvvisamente, la sostituzione e la formazione di una persona la cui opera si sostanzia quale elemento determinante per il conseguimento di positivi risultati economici. In generale, tali contratti di assicurazione prevedono una maggiorazione annuale del capitale o della rendita assicurati, attraverso il riconoscimento di una parte degli utili finanziari realizzati da specifici fondi interni alla compagnia assicurativa (gestioni separate) in cui vengono investiti i premi versati. Le rivalutazioni del capitale o della rendita riconosciute annualmente sono determinate sulla base della misura di rivalutazione, secondo le modalità previste dalle condizioni di polizza. La compagnia assicurativa determina il rendimento annuo da attribuire alla polizza moltiplicando il tasso di rendimento realizzato dalla gestione separata per una percentuale (Aliquota di Partecipazione) stabilita annualmente dalla stessa compagnia di assicurazioni.

Ciò premesso, non sono infrequenti i casi in cui l’Agenzia delle Entrate mette in discussione l’integrale deducibilità dei premi pagati dalle società per tale tipologia di polizze. In particolare, tra le argomentazioni utilizzate dagli Uffici, viene asserito che soltanto la componente del premio riferibile alla copertura del rischio di morte dell’assicurato (c.d. “rischio demografico”) può essere considerata come onere deducibile dal reddito d’impresa, in quanto inerente all’attività d’impresa ai sensi dell’art. 109, comma 5, del TUIR. Viceversa, la restante parte del premio che viene investita nella gestione separata, essendo destinata a finalità estranee alla copertura del rischio morte, non potrebbe essere considerata deducibile, giacché rappresenterebbe la componente finanziaria della polizza, ossia un vero e proprio investimento.

Ebbene, si ritiene che tale ragionamento argomentativo possa essere efficacemente contraddetto in base a quanto sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6319 del 5 marzo 2019 (cfr. in senso conforme anche Tribunale di Milano, sentenza 12 novembre 2019, n. 10221): «in ordine alle polizze denominate “linked”, e cioè quelle nelle quali l’obbligazione principale dell’assicuratore è collegata al valore di organismi di investimento del risparmio o di fondi interni o comunque ad indici predeterminati di riferimento, non vale a far concludere apoditticamente per l’inclusione automatica di tali polizze nello schema legale (artt. 1882 – 1895 c.c.) del contratto di assicurazionela cui causa deve essere rinvenuta nel trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore, rischio che, a pena di nullità, deve esistere alla stipula del contratto. Rientrano senz’altro nella fattispecie tipica di cui all’art. 1882 c.c., le polizze che operano la sostituzione della prestazione fissa dell’assicuratore con una variabile, agganciata a parametri di mercato, ma che mantengono comunque il rischio demografico; in tal caso, pur attuandosi un parziale trasferimento del rischio dall’assicuratore sull’assicurato in ordine al valore finale della prestazione, il contratto mantiene comunque una funzione assicurativa, individuabile quale causa concreta del contratto, secondo gli ordinari criteri ermeneutici». Alla luce del predetto principio, quand’anche dalla disamina del fascicolo informativo emergesse la presenza di una componente di investimento finanziario nel contratto di assicurazione caso morte a vita intera, si deve necessariamente concludere che le polizze “key man” conservano senz’altro la loro causa, consistente appunto nella funzione di trasferimento del rischio demografico dall’assicurato all’assicuratore. In altri termini, l’intero premio corrisposto dalla società alla compagnia assicurativa risulta comunque destinato alla copertura del rischio morte dell’assicurato (“key man”) e, dunque integralmente deducibile dal reddito d’impresa, a nulla rilevando la natura finanziaria della quota di premio riferito al capitale assicurato (ossia, alla quota di premio investita dalla compagnia di assicurativa nella gestione separata).

Altra argomentazione spesso utilizzata dagli Uffici, per ritenere indeducibile la parte di premio avente natura finanziaria, è rappresentata dalla correlazione costi-ricavi asseritamente stabilita dall’art. 109, comma 5, del TUIR. Nel caso della polizza “key man”, il predetto nesso sarebbe rappresentato, da un lato, dalla circostanza che “l’uomo chiave” è colui che permette alla società di conseguire ricavi, mentre, dall’altro lato, il costo gravante sulla società è costituito dall’evento morte, ossia dalla prematura scomparsa del proprio “key man”. Secondo l’Agenzia delle Entrate, il costo della polizza sarebbe esclusivamente rappresentato dalla quota di premio versata alla compagnia assicurativa destinata a copertura del rischio morte dell’assicurato (“key man”), poiché solo tale componente di spesa costituirebbe il “prezzo” che la società contraente paga per salvaguardare l’attività aziendale da una prematura scomparsa del proprio “uomo chiave”.

Tale assunto si appalesa infondato in base alla recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui il principio di «inerenza esprime la riferibilità del costo sostenuto all’attività d’impresa, anche se in via indiretta, potenziale od in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera estranea all’esercizio dell’impresa (giudizio qualitativo oggettivo)» (Corte di Cassazione, ordinanza 11 gennaio 2018, n. 450; in senso conforme Corte di Cassazione, ordinanza 22 maggio 2019, n. 13764; Corte di Cassazione, sentenza 4 marzo 2020, n. 6017). Infatti, la parte finanziaria del premio ha la funzione di rivalutare il capitale assicurato che verrà liquidato alla società, in caso di premorienza del suo “uomo chiave”, fornendo i mezzi per permettere la prosecuzione dell’attività d’impresa, già gravemente danneggiata da tale evento, senza dover ricorrere all’utilizzo di risorse finanziare interne. Dunque, è indubbia l’inerenza e la conseguente deducibilità (anche) della componente finanziaria della polizza, giacché trattasi di un costo che, oltre a non porsi assolutamente al di fuori dell’attività di impresa, è sostenuto per tutelare il patrimonio sociale ed il proseguimento della stessa attività societaria.

 

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Dott. Comm. Massimo Biancon (massimobiancon@studiotosi.com)